Eh già, siamo in debito con voi della parte conclusiva dei post riguardanti il paragone Italia/USA circa l’education marketing: oggi vedremo di saldare questo debito!
Per prima cosa è bene ricordare che il paragone Italia/USA su sistema scolastico e marketing è un paragone tra due realtà molto eterogenee e non ha la pretesa di essere scientifico, bensì esplorativo; pertanto anche le conclusioni che state per leggere sono più che altro il tentativo di dipingere una visione d’insieme, magari un po’ sfuocata, ma che possa esservi utile per farvi quantomeno un’idea.
Nel primo post abbiamo parlato della situazione degli investimenti in marketing nelle università italiane (dati 2011), riscontrando un’enorme difficoltà nel reperire dati certi e fissando una forbice d’investimento immaginaria tra i 2 e 19 euro per nuovo studente. Nel secondo post, riferito agli States, oltre a descrivere velocemente la tassonomia dell’higher education americana, siamo riusciti ad estrapolare una serie di dati più precisi, stabilendo la forbice d’investimento nelle università pubbliche tra i 402 $ e i 552 $ per studente, mentre per le private tra i 1.781 $ e i 2.351 $ (dati 2011).
A fronte di questi dati sarebbe sin troppo semplice evidenziare come il mercato universitario italiano investa una cifra irrisoria nell’acquisizione di nuovi studenti rispetto agli investimenti del mercato USA. Fermo restando quindi che la discrepanza è macroscopica ed evidente, vorremo concentrarci su un altro aspetto, e focalizzare le nostre conclusioni su una caratteristica che sta, per così dire, “a monte”: l’atteggiamento complessivo.
Possiamo dire che in Italia esiste un atteggiamento piuttosto superficiale per quanto riguarda il marketing universitario, le differenze con gli States sono innegabili ed, in molti casi, andrebbero colmate.
La mancanza di dati organici del MIUR, o dell’ISTAT, l’indefinitezza delle voci dedicate alla comunicazione all’interno dei bilanci e la rara esistenza di reparti marketing interni alla struttura universitaria sono indici che denotano come il marketing venga visto dalle università (e dallo Stato) alla stregua di un compitino da espletare tra i tanti e niente più.
Queste mancanze sono un campanello di allarme che ci fanno dedurre che rararmente esistono piani di marketing studiati a tavolino, basati su una strategia e su un effettivo budget dedicato, ma al contrario, si assiste in generale ad una certa carenza di pianificazione, poco interesse riguardo agli investimenti operati dai propri competitor ed altrettanto poco interesse da parte delle agenzie di marketing ad analizzare il mercato universitario stesso.
Non vogliamo di certo dire che le università italiane (e tutto il mondo che gira loro attorno) debbano cominciare a comportarsi come gli americani, sappiamo bene e l’abbiamo già ripetuto diverse volte che i due sistemi sono profondamente diversi. Il mercato americano è estremamente competitivo e necessita di una maggiore reattività rispetto al nostro sia in fatto di organizzazione che di investimenti. Detto questo, rimane comunque una certa reticenza da parte del mercato italiano e, valutando la congiuntura socio-economica in cui versiamo, non si può pensare di poter continuare con questo approccio senza porre più attenzione a questi argomenti, senza investire di più in informazione e comunicazione, senza valutare di offrire servizi innovativi agli studenti di oggi e di domani.
Anche il mercato universitario è globalizzato e senza una visione più organica, senza strategie ed investimenti, sia a livello didattico che di marketing, non saremo più attraenti né per gli studenti esteri né per i nostri che avranno un motivo in più per prendere il volo.