Proseguiamo con la nostra serie di interviste, proponendovi oggi la nostra chiacchierata, svoltasi durante l’evento dello scorso marzo “Now: A scuola si può”, con Elia Bombardelli, giovane docente di matematica e fisica alle superiori e nel 2018 inserito dalla rivista Forbes Italia nella classifica 100under30: nel 2012 apre infatti un canale YouTube, contenitore per la rubrica “LessThan3Math”, dedicata a video lezioni di matematica che gli hanno portato, ad oggi, oltre 215.000 iscritti e 35 milioni di visualizzazioni complessive, in costante espansione.
Education Marketing Italia (EMI): Elia, raccontaci: com’è iniziata questa avventura che ti ha portato un seguito così importante?
Elia Bombardelli (EB): Quando ho cominciato ad insegnare (stavo facendo l’abilitazione), mi sono ricordato che anche io da studente avevo utilizzato dei video per preparare esercizi e mi son detto: “diamo un’occhiata per vedere se c’è qualcosa di matematica in italiano per le superiori” e ho visto che non c’era quasi niente. C’erano tanti siti buoni, tanti esercizi disponibili, ma pochissimo materiale video. Quindi è nata così: mi sono lanciato, ho provato a fare i primi video ed ho visto subito che il feedback sia studentesco che dei colleghi è stato positivo. Sono andato avanti nel tempo e adesso sono quasi sei anni: ma è un processo in divenire, continuo ad aggiungere dei tasselli.
EMI: Toglici una curiosità: quando entri in classe ti riconoscono?
EB: Beh, i miei studenti… certo che sì! Ogni tanto quando faccio delle supplenze mi associano subito al canale perché nella scuola si è un po’ sparsa la voce che sono “quello con il canale Youtube”. È capitato altre volte di andare a parlare in delle scuole dove mi invitano in assemblee di istituto a raccontare questa storia, e vedo che tanti ragazzi mi riconoscono ed è bello; spesso riconoscono più la voce, però! In realtà quello che vedi nel video è un slide sostanzialmente e quindi senti la mia voce: in qualche video io appaio ma nella maggior parte vedi proprio la lavagna virtuale.
EMI: Che gap hai trovato con docenti di vecchia scuola? Sei stato uno studente fino a poco tempo fa: che tipo di esperienze hai vissuto nel confrontarti con loro?
EB: Beh, sono in classe con alcuni miei ex professori: la scuola dove insegno quest’anno è quella dove ho studiato io da ragazzo e molti docenti li rivedo ora nei consigli di classe da pari invece che da studente, quando magari andavo per sentirmi dire come andavo e all’inizio era abbastanza buffo.
EMI: Ti vedono come un alieno con il canale Youtube?
EB: No, quello no! Devo dire che ero molto bravo, per cui avevano di me un buon ricordo. Non direi che c’è tanto un gap: vedo che ogni tanto alcuni di loro guardano queste cose, come i video che realizzo, con grande fascino perché sono magari un po’ distanti dal loro metodo. Ma non sono ostili, anzi: spesso mi chiedono informazioni con interesse e so di alcuni colleghi che consigliano i miei video, altri mi hanno proprio suggerito alcuni contenuti, e con qualcuno abbiamo provato a fare qualche esperimento insieme. Certo, c’è chi usa ancora più le lezioni frontali, che altri mezzi, ma non esiste un metodo giusto e uno sbagliato. Secondo me è vincente anche usare nuove metodologie; io vedo che mi consentono di fare cose che altrimenti non avrei il tempo di svolgere, però non per questo le lezioni frontali non mi piacciono: cerco di essere flessibile a seconda della situazione.
EMI: Tecnologia e flessibilità sono parole chiave: vanno viste di pari passo, nel senso che focalizzarsi solo sulla tecnologia è sbagliato, così come ignorarla.
EB: Sicuramente! Tra l’altro, io non ho pensato a queste cose come sostitutive, ma come uno strumento ulteriore a supporto delle cose che comunque avrei fatto. Lavorano bene in sinergia. È una cosa che dico ai ragazzi su Youtube: non è che basta il video, non li ho pensati così! Sono uno strumento di lavoro che condivido volentieri ma non sostituiscono tutto il resto; credo sia un’utile integrazione.
EMI: Sul nostro blog parliamo spesso di generazioni, della loro evoluzione visto che i docenti devono fare i conti con il cambiamento dei ragazzi. È evidente che mentre prima si potevano definire delle generazioni in decenni, adesso questi cambiamenti sono più veloci. Lo vedi questo gap nei giovanissimi?
EB: Sì, lo vedo. Mi fanno tante domande anche su questo mondo dei video, sui social, perché sanno che un po’ me ne occupo e lo vedi dalle persone che seguono i social, per cosa usano internet: in 5 anni è cambiato tantissimo. In prima superiore, che a me risulti, Facebook non esiste praticamente più: stanno tutti su Tik Tok e Instagram. Un po’ cerco di farli riflettere su queste cose e vedo che apprezzano. Un’altra cosa su cui c’è da lavorare con loro è dove trovare delle informazioni: anche lì, vedo che a scuola non sempre ti spiegano. Hanno un mondo, sempre lì con il telefonino, hanno accesso a tantissime cose che cambiano rapidamente, non tutte autorevoli, però non sempre a scuola viene spiegato loro come fare a filtrare le notizie: forse troppe volte la scuola è molto prudente sull’uso, perché è più facile dire “non li usiamo” che spiegare come usarli in maniera intelligente.
EMI: Magari la nuova generazione di docenti avrà una maggiore propensione all’uso di questi strumenti, perché li capisce, è cresciuta con essi.
EB: Sicuramente, ma secondo me anche il fatto che non sempre all’interno delle scuole i regolamenti sono chiari o vengono applicati in maniera chiara influisce. Ci sono situazioni in cui un docente non sa bene cosa fare e quindi gioca prudente: proibisce l’uso del telefonico, eppure ci sono strumenti validissimi, tante app splendide, ma tanti forse per non rischiare di mettersi nei guai, perché non conoscono magari cosa si può o non si può fare, si allontana dalla possibilità di utilizzarle. Però forse è vero, cambierà nel tempo con le nuove generazioni di docenti.
EMI: Che ne pensi di un evento come quello cui abbiamo partecipato: “Now: A Scuola si può”?
EB: A me è piaciuto molto: mi ha trasmesso tante idee, tantissimi imput. Secondo me la cosa bella di questi eventi è la quantità di idee che porti a casa, una specie di riassunto conoscitivo di tante cose, che poi ciascuno di noi seleziona, va a casa e approfondisce ciò che interessa.
EMI: Ti faccio un’ultimissima domanda: sul palco si sono tanti docenti, tante persone che come noi lavorano nell’Education; ma se ci fosse uno studente sul palco, cosa direbbe lui a noi?
EB: Secondo me farebbe una riflessione sul distacco che c’è a volte tra quello che sente raccontare a scuola e quello che fa parte della sua vita quotidiana. Io ho l’impressione che più che nel passato ci sia un po’ di scollamento tra i programmi scolastici che sono ancora di stampo molto tradizionale e sarebbe opportuno fare una riflessione se non sia il caso di cambiare un po’. Argomenti come le tasse, la gestione dei soldi, aspetti fondamentali della vita degli adulti, a scuola non esistono.
Poi i giovani magari esagerano con il dire che non imparano nulla di utile, ma è anche colpa nostra che non siamo tanto bravi a far capire che quello che insegniamo serve. Quindi sicuramente una delle “critiche” che uno studente potrebbe muovere è questa: “Di tutte queste cose anche belle che mi state dicendo, quante davvero mi serviranno in futuro?” Secondo me una riflessione va fatta e qualche cambiamento nei programmi o nelle cose che vengono proposte sarà opportuno farlo per il futuro.