La comunicazione in ambito accademico, in quanto elemento non solo di promozione, ma profondamente legato alla capacità di trasmettere – a studenti attuali e prospettici – il valore che un’istituzione è in grado di generare al proprio interno, è una leva di assoluta rilevanza per una scuola o Università, e può assumere a volte anche forme inaspettate.
Intervistiamo oggi Anna Montalbetti, che si occupa di Comunicazione, Marketing e Sviluppo presso una scuola professionale. Dopo 15 anni nel settore del giornalismo “tradizionale”, 10 dei quali come direttore del mensile “Progetto Cucina”, nel 2017 ha intrapreso un nuovo e avvincente percorso presso ASLAM, ente accreditato presso la Regione Lombardia che opera nei settori della Formazione, dell’Orientamento e dei Servizi al lavoro.
Education Marketing Italia (EMI): Visto che sei giornalista, sarò irrituale, partiamo da una domanda personale: cosa ti ha portato a lavorare nel mondo Education e in particolare nella formazione professionale?
Anna Montalbetti (AM): La mia professione di giornalista è nata per caso: stavo scrivendo la tesi di laurea quando un’amica mi contattò per dirmi che nel giornale per cui lavorava cercavano una persona. Mandai il cv quasi per scherzo… e mi presero. Iniziai come correttrice di bozze – allora c’era ancora questa figura -, poi una giornalista se ne andò e mi chiesero di sostituirla. Mi prese il panico della “pagina bianca”. Ci mettevo ora a scrivere una notizia di 10 righe… ma con l’esercizio quotidiano la situazione migliorò decisamente e scoprii che riuscivo ad esprimermi meglio scrivendo piuttosto che parlando. Dopo qualche anno cambiai casa editrice e per oltre un decennio ho diretto una rivista specializzata che trattava argomenti di uno specifico mercato.
Nel frattempo il mio amore per le “belle lettere” cresceva, essendo stata educata a leggere molto, e grandi autori, e imparai a curare di più lo stile, le tecniche di scrittura giornalistica… gli argomenti che trattavo erano interessanti, imparare ogni giorno dalle persone che intervistavo mi appassionava. Dentro di me però coltivavo il desiderio, mossa dall’esempio familiare, di dedicarmi ad aspetti di “utilità sociale”.
L’occasione mi fu data tre anni fa, quando incontrai chi dirigeva ASLAM, la scuola di formazione professionale dove ora curo l’aspetto di comunicazione. Non conoscevo nulla di questo mondo, ma da come mi veniva descritto, e poi da quello che ho visto realizzarsi concretamente, ho compreso subito che si tratta di un’attività che va ben oltre la formazione, perché risponde all’esigenza del tessuto ancora prevalentemente industriale del nostro Paese, tra i migliori al mondo, si sa, anche se composto da piccole e medie imprese – o forse sarebbe meglio dire: “proprio perché composto da piccole e medie imprese -. La scuola che mi ha contattato usa come metodo quello di analizzare le necessità lavorative del territorio in cui opera e di avviare (ormai da oltre 20 anni) corsi che sappiano formare proprio quelle figure che le aziende cercano, sia per i corsi dopo la terza media, sia per quelli post-diploma.
La scelta che ASLAM ha fatto, in modo molto lungimirante, di investire su una persona che si occupasse solo di comunicazione, è decisamente vincente. Ho scoperto storie straordinarie da raccontare, che mettono a tacere i grandi giornali quando si lamentano dei devastanti numeri della disoccupazione nel nostro Paese. Sono ben pochi i giovani che escono dalle nostre scuole senza già avere una proposta di lavoro, anzi senza aver già lavorato con contratti di apprendistato. Giustamente il nostro presidente recentemente ha coniato un nuovo slogan: “vieni a imparare un lavoro: il lavoro ti verrà a cercare”. Ed è proprio così!
EMI: Si dice sempre che l’artigianato e la piccola e media impresa siano l’ossatura del sistema produttivo italiano: dal punto di vista della formazione i ragazzi sono ancora attratti da questi lavori? In che modo, anche con ASLAM, riuscite a creare interesse per i percorsi formativi professionali?
AM: Questa seconda domanda mi permette di spiegare perché è valido lo slogan appena accennato. Sempre il nostro presidente ripete spesso che si sente dire che i giovani non hanno interessi, che sono apatici, svogliati… ma il motivo è che siamo noi adulti a non saper fare loro una proposta avvincente, capace di destare il loro desiderio. Di giovani che preferiscono dedicarsi a imparare un mestiere piuttosto che spendere anni sui libri di studio ce ne sono tantissimi: occorre fare loro la proposta giusta. Essa si può realizzare grazie a un sapiente mix, costituito da molti fattori. Provo ad accennare ad alcuni di essi, e spero che chi legge li riterrà interessanti: le nostre scuole sono belle ed educhiamo gli studenti a mantenerle tali, perché la bellezza stimola la creatività. I docenti amano il loro mestiere, e hanno a cuore ogni singolo allievo: ognuno di essi è “unico” e deve fare il suo percorso “unico”. I nostri studenti sono i nostri primi testimonial, perciò durante gli open day sono loro ad accompagnare i ragazzi più giovani in giro per la scuola, a spiegare il mestiere che si studia: dal loro modo di fare emerge tutta la passione che hanno conquistato negli anni di scuola ed è una passione coinvolgente. Gli imprenditori presso cui li mandiamo a fare il tirocinio in moltissimi casi non vedono l’ora di poter trasmettere ciò che sanno, e trovano nei nostri ragazzi un terreno fertile, spesso di affezionano a loro, anche perché in tanti casi i ragazzi dimostrano un attaccamento all’azienda che raramente si trova nel mondo del lavoro. E qui si innesta un altro fattore del mix: sono gli imprenditori stessi a chiederci dei ragazzi che “abbiano voglia” di lavorare e il metodo che la scuola adotta, con il contributo degli imprenditori stessi, riesce a trasformare nel tempo dei giovani incerti e svogliati in uomini appassionati del loro mestiere.
C’è un altro importante fattore che aiuta a far maturare i nostri giovani e può creare il bene comune. Ma qui devo citare sempre le parole del mio presidente, dette durante un incontro pubblico: “Come è possibile appassionare i giovani al lavoro? Occorre che facciano l’esperienza del perdono. Oggi infatti domina la performance: l’errore è inconcepibile, eppure si sbaglia ora come un tempo, e quando ciò accade la persona nasconde l’errore, più e più volte, fino a convincersi di non sbagliare mai; questo non nuoce solo al singolo, ma crea problemi anche all’azienda. Noi invece mettiamo alla prova gli studenti, e se sbagliano affrontiamo con loro l’errore e insieme lo correggiamo. In questo modo si impara veramente e di questo hanno bisogno le imprese: persone che, quando sbagliano, siano disposte a riconoscerlo e a imparare di più. La bellezza per un ragazzo è sentirsi dire che non è definito dai propri errori: questo lo rende libero e accende la sua passione”.
EMI: Secondo te la formazione post-diploma è il futuro di queste professioni?
AM: Rispondo in base all’esperienza che vedo: oggi chi inizia una scuola professionale ha la possibilità di proseguire gli studi anche dopo il diploma per diventare un tecnico sempre più evoluto, che sappia conoscere e gestire in autonomia i grandi cambiamenti che il tessuto industriale sta vivendo (si pensi a Industria 4.0). La formazione professionale dunque non è più la “sorella povera” di quella liceale, ma può assicurare un grado di cultura tecnica elevata e, cosa ancora più interessante, particolarmente ricercata dalle aziende.
ASLAM ad esempio partecipa a due Fondazioni che erogano corsi post-diploma ITS (Istruzione Tecnica Superiore), percorsi paralleli a quelli universitari nati per creare veri professionisti nei vari mestieri.
In queste scuole, che durano 2 o 3 anni, io vedo che si stanno formando le figure che saranno protagoniste dell’evoluzione industriale di oggi e di domani. Sappiamo bene che i prodotti italiani in svariatissimi campi sono i più ricercati nel mondo. Ecco, i nostri giovani studenti potranno essere la chiave di volta per innalzare ulteriormente il successo della nostra produzione. È un investimento importantissimo per tutto il Paese e dà ottimi frutti: soprattutto a questo livello le aziende si disputano i ragazzi che si diplomano. Faccio un esempio per tutti: uno dei nostri corsi è quello di Tecnico Superiore per la manutenzione di aeromobili. Per gli studenti del terzo e ultimo anno di solito organizziamo un evento in primavera in cui invitiamo le aziende che potrebbero assumerli, come le compagnie aeree. Ho partecipato per due volte a questo evento e sempre ho sentito i rappresentanti delle aziende dire ai ragazzi: “diplomatevi in fretta perché abbiamo bisogno di voi”. Quante altre scuole esistono (perché so che esistono, ma non sono mica tante!) dove gli studenti hanno già un’azienda pronta ad assumerli, per fare il lavoro per cui hanno studiato, prima ancora di diplomarsi?! Non vorrei sembrare trionfalistica, ma i dati che ogni anno inviamo al MIUR dicono che praticamente la totalità dei nostri diplomati di questo corso ha trovato un lavoro nell’arco di dodici mesi dall’ottenimento del titolo. Ebbene, questo non è trionfalismo, sono numeri!
EMI: Abbiamo visto che la direzione è quella, nei corsi post diploma, di inserire la comunicazione e il marketing anche negli studi legati alle materie artigianali. A nostro parere è un passo avanti notevole, tu che vieni dal mondo della comunicazione prevedi che questa opportunità verrà colta dagli studenti e sviluppata ulteriormente dagli enti formativi?
AM: Io non ho notato tutto ciò, ma forse le mie conoscenze sono limitate… Una della Fondazioni cui ASLAM partecipa propone un corso post-diploma di Tecnico Superiore per la produzione, il marketing e l’internazionalizzazione nel settore legno arredo. In quel corso certamente si insegnano marketing e comunicazione, ma è perché è la natura del lavoro che andranno a fare che lo richiede.
Ma non capisco perché i Tecnici Superiori per la manutenzione di aeromobili debbano studiare comunicazione. A loro insegniamo la “comunicazione efficace” intesa come capacità di collaborare con i colleghi. Lo stesso vale per un nostro altro corso: Tecnico Superiore per la progettazione e l’industrializzazione nel settore legno arredamento.
Piuttosto c’è un’altra materia che tutti questi studenti non possono trascurare: conoscere l’inglese. E sono stati gli imprenditori a sottolinearlo. Infatti le “macchine” italiane sono vendute soprattutto all’estero, in tutto il mondo, e quando arriva un cliente straniero anche il tecnico deve essere in grado di spiegare a costui cosa fa e come funziona quella macchina di cui lui è il massimo esperto.
Cambiando un po’ direzione alla risposta, direi piuttosto che chi si occupa di formazione, professionale e non, a qualunque livello, oggi fa un’ottima scelta quando decide di inserire nel suo staff qualcuno che sia esperto di comunicazione. Sarà questa figura, anch’essa specializzata nel suo mestiere, a fare da cassa di risonanza per tutto ciò che meriterà di uscire dalle mura della scuola.