Roma, 22 marzo – Centro Congressi Angelicum. Si apre il 2° convegno sulla scuola che innova, organizzato da Giunti Scuola in collaborazione con CampuStore: parliamo di TELL ME NOW – A scuola si può.
Andrea Chiaramonti, Amministratore Delegato di Giunti Scuola, e Lisa Lanzarini, Manager di CampuStore raccontano che TELL ME NOW nasce da un’idea, dal pensiero di una scuola “bella”: CampuStore porta avanti questo sogno di una scuola innovativa, partita da una Vision, dall’immaginazione, ma che si realizza in tanta ricerca, in duro lavoro in team, e da un animo un po’ nerd. E tutto ciò si sposa con l’esperienza di Giunti Scuola, dando il via ad un’avventura condivisa.
Tanti gli interventi che si sono susseguiti nel corso del convegno in plenaria: tanti ospiti con background differenti, che hanno apportato competenze, esperienze e riflessioni importanti, rivolte ad un pubblico composto di entusiasti addetti ai lavori, docenti e professionisti del mondo educational, che si sono raccolti attorno al tema dell’innovazione scolastica. Un palcoscenico abitato da speaker, musicisti, illustratori e “storytellers” che ci raccontano la magnifica avventura che è lavorare nel settore scolastico e formativo.
Federico Taddia, sulle note della sigla di Goldrake, apre il suo intervento intitolato “Tell me science”, in cui racconta come il suo personaggio preferito che “mangia libri di cybernetica e insalate di matematica”, e la lettura di Roald Dahl, con il suo giocare con i paradossi, lo abbiano portato ad appassionarsi alla divulgazione scientifica. Racconta dell’incontro con Margherita Hack, che con il suo essere rigorosa, ma anche “spettinata”, gli ha insegnato a tradurre la scienza in parole semplici, senza cadere nell’errore di banalizzarla, attraverso metafore precise e tanta pazienza nello spiegare e rispiegare concetti difficili come un buco nero.
Qual è, dunque, la chiave d’ingresso per comunicare la scienza ad un bambino? Sicuramente partire dal percepito dei piccoli, da ciò che possono comprendere, da ciò che li incuriosisce, nel tentativo di generare stupore. E per quanto riguarda un preadolescente? La parola chiave è orgoglio: creare una sfida ingaggiante, smontare la tecnologia e fargliela vedere dall’interno, per insegnare un uso consapevole degli strumenti che utilizza, per fornirgli una bussola tra reale e virtuale. E per i più grandi? Un concetto: passione.
Passione che ha portato Luca Piergiovanni ad essere un grande esponente del mondo della formazione: un passato da dj che si è tradotto nel trasferimento in aula di strumenti come i podcast, i blog, YouTube. Il punto di partenza del suo intervento, “Un’app in più”, è che la tecnologia non fa miracoli. Non si può migliorare, con l’uso del mezzo tecnologico, un insegnamento che non sia già valido intrinsecamente, che non si basi sul rispetto docente/studente. Ma laddove il web diventi uno strumento a servizio di una docenza di valore e si fondi sul rapporto umano, i risultati sono importanti.
L’insegnante, ormai, deve essere social: deve riuscire a condividere, a lavorare in gruppo, a produrre contenuti di valore, e deve saper selezionare le app più idonee per la sua classe, per le esigenze specifiche del gruppo di studenti che ha di fronte.
Certo, non si deve incorrere nell’errore di… rincorrere le mode tecnologiche, ma si deve essere in grado di riconoscere che un’app è veramente educativa quando è in grado di generare interazione che migliori l’apprendimento, quando supporta i percorsi dedicati allo sviluppo di competenza digitali, quando, e soprattutto, migliorano le relazioni umane.
Si è parlato poi di spazio, prima con Francesco Bombardi, che nel suo intervento “Ma cosa hai messo nel centrifugato?” regala uno spunto di riflessione importante per quanto riguarda l’architettura degli spazi scolastici e del digitale – spazi che creino benessere, comfort, e spazi che dialoghino con la tecnologia ricercando un equilibrio -, e poi con Ottavio Fattorini e il suo “Dadaumpa”, che parte da Ostia.
Il modello DADA (Didattiche per ambienti di apprendimento) è una modalità innovativa di organizzare la scuola. Nelle scuole DADA, sono i ragazzi che si muovono, mentre i docenti permangono nelle aule loro assegnate: da questa modalità, l’attribuzione della definizione di “innovazione dell’eppur si muove”. Il modello DADA raccontato può essere realizzato solo da un collettivo che ragioni in modo corale e ha come effetto la responsabilizzazione degli studenti, la creazione di fiducia e controllo reciproci, e una conseguenza diretta sullo spazio scolastico: le aule dei docenti sono riccamente personalizzate, diventando contenitori di espressione legittima. Una scuola DADA è una comunità che si mette in moto, un gruppo di persone-educanti che trasformano ogni momento in didattica. L’edificio stesso diventa un edificio apprenditivo, laddove gli spazi sono agiti dagli studenti, che contribuiscono in modo operativo ad eventi e rappresentazioni, come il “Muro della memoria”, dedicato alla Shoah.
E’ intervenuto poi Elia Bombardelli e il suo “You make me math”: giovane docente delle scuole superiori che ha preso la matematica, ci ha aggiunto YouTube e ha creato una ricetta da 210mila followers.
YouTube è una piattaforma particolare, sia contenitore di contenuti che social network, che sempre più vede crescere la fetta di materiale educational pubblicato, sia in quanto materiale didattico che divulgativo. I video di Elia in cui spiega come si risolvono gli integrali, o risolve problemi di ogni genere, rispondono ad una chiara preferenza delle nuove generazioni per il formato video come migliore strumento di apprendimento. Ma non basta: oltre a produrre contenuti in un modo efficace, è necessario organizzare in modo tematico gli argomenti perchè questi siano fruibili.
La tecnologia, però, neanche in questo caso sostituisce la didattica “tradizionale”. Ecco che uno strumento video del genere può avere una triplice funzione: in primo luogo, rappresenta un momento di ripasso e consolidamento delle conoscenze successivo alla lezione frontale; in secondo luogo, in ottica di “classe capovolta”, rappresenta un momento di studio che precede la lezione, che va a focalizzarsi invece sull’esercitazione e sull’approfondimento; e terzo, può anche servire a sopperire a carenze pregresse, nel momento in cui si inizia, ad esempio, un percorso universitario senza avere una base di conoscenza sufficiente.
Tutti interventi, quelli riportati – che tuttavia non esauriscono la vastità degli input offerti durante la plenaria-, che partono dall’idea che la scuola debba in qualche modo osservare se stessa e trovare al proprio interno le motivazioni per innovare, in modo da essere sempre più allineata con i cambiamenti esterni. Innovazione che non vuol dire abbandonare un paradigma “tradizionale”, ma che significa portare con sè quelli che sono i pilastri, i valori, su cui si fonda l’insegnamento, ma essere in grado, attraverso la predisposizione di meccanismi di ascolto e di ricerca sistematica, di migliorarsi continuamente. La tecnologia, sicuramente, rappresenta un fattore chiave di questo cambiamento, a cui non si può opporre resistenza: è ovvio che molto spesso adottare un nuovo strumento o metodologia può risultare ostico, ma il vero miglioramento a volte è proprio un tantino al di fuori della nostra “comfort zone”.
Presto, torneremo con tante interviste ai protagonisti di questo importante momento di confronto!