Hate speech: cosa può fare la scuola per contrastarlo?

Viviamo in una società dove è “normale” utilizzare parole forti, soprattutto sui social. La scuola però può educare ad un uso consapevole delle parole

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Nell’era digitale, l’hate speech è diventato un problema sempre più diffuso e preoccupante. Le scuole, come istituzioni educative e sociali, giocano un ruolo cruciale nel contrastare questo fenomeno, educando le giovani generazioni al rispetto e all’inclusione. Ma cosa può fare concretamente una scuola per combattere l’hate speech?

Definiamo l’hate speech

Iniziamo con il dare una definizione dell’espressione. Con le parole di origine inglese “hate speech”, si intendono tutti quei discorsi di incitamento all’odio, commenti offensivi, contenuti violenti e insulti che oggi circolano, soprattutto, sui social network. Il fenomeno consiste nell’attacco sulla base di attributi come razza, religione, etnia, orientamento sessuale, disabilità.

Questo tipo di discorso può manifestarsi in molte forme, tra cui:

  • Verbalmente: attraverso discorsi, dichiarazioni o insulti pronunciati oralmente
  • Scrittura: attraverso articoli, libri, post sui social media, commenti online
  • Visivamente: attraverso immagini, video, meme o simboli che trasmettono messaggi d’odio
  • Simbolicamente: tramite l’uso di simboli o gesti che sono universalmente riconosciuti come offensivi o incitanti all’odio.

L’hate speech è considerato uno dei mali sociali della nostra epoca, e si avverte la necessità di mitigarne l’effetto, soprattutto sui social network, che da strumento democratico, hanno finito per essere un’arma di discriminazione che fa leva sull’anonimato.

 

La grave mancanza di una regolamentazione

Ad oggi, non c’è ancora una regolamentazione specifica per contrastare l’hate speech, ma si individuano diverse azioni messe in atto per limitarlo.

Le Nazioni Unite hanno elaborato un Piano d’Azione per contrastare l’hate speech, attraverso il monitoraggio dei social, un’attenta comprensione delle cause, l’analisi del coinvolgimento delle vittime e dei media.

Il Consiglio d’Europa ha espresso una definizione non giuridicamente vincolante nel 1997, ampliata nel 2015 dalla raccomandazione della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri): “si intende per discorso dell’odio il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o un gruppo e la giustificazione di tutte queste forme o espressioni di odo testé citate, sulla base della “razza”, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, dell’handicap, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di altre caratteristiche o stato personale”.

L’Italia non fa eccezione dal punto di vista giuridico, ma registra l’attività della Commissione Straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, presieduta dall’onorevole Liliana Segre. L’importanza di arginare questo fenomeno dilagante nella nostra società, si avverte proprio dalle parole dell’on. Segre: “Se si ammettono le parole dell’odio nel contesto pubblico, se si accoglie l’hate speech nella ritualità del quotidiano, si legittimano rapporti imbarbariti. Io l’odio l’ho visto. L’ho sofferto. E so dove può portare”.

Anche Amnesty International, si adopera nel contrasto al fenomeno dei discorsi di odio, con l’attivazione della Rete Nazionale per il contrasto ai fenomeni dell’odio, con sede a Roma.

 

L’hate speech dilaga sui social

Sui social network, le parole di odio sono all’ordine del giorno. Non riguardano, ovviamente, solo i giovanissimi, ma è su di loro che l’educazione deve puntare in particolar modo l’attenzione per cercare di mitigare la crescita del fenomeno in futuro.

Già Italo Calvino, in un mondo ancora vergine dai social network, sottolineava l’uso, spesso superficiale, delle parole: “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”.

Ma, se un tempo l’incitamento all’odio rimaneva più facilmente circoscritto, oggi, con lo sviluppo dei social network è esploso. Secondo il Rapporto di Trasparenza, Meta ha rimosso, solo nel trimestre gennaio/marzo 2024, ben 16 milioni di contenuti di odio su Facebook e Instagram.

La Generazione Z è “abituata” all’hate speech, utilizzato in modo inconsapevole e superficiale. Si rende, dunque, necessaria una riflessione ed un’educazione sul tema. In questo, come nel caso di ogni problema sociale, la scuola deve svolgere un ruolo da protagonista.

 

Cosa può e deve fare la scuola

Contrastare l’hate speech nelle scuole è fondamentale per promuovere un ambiente sicuro e inclusivo. Attuando alcune strategie, le scuole hanno la possibilità di creare un ambiente più sicuro e rispettoso, aiutando a prevenire e contrastare il discorso all’odio, anche fuori dall’aula, promuovendo una cultura di inclusione e rispetto.

In classe, si può agire su diversi fronti:

  • Integrare nei curricoli scolastici lezioni su empatia, diversità e inclusione, spiegando l’impatto negativo dell’hate speech sugli altri
  • Organizzare incontri con esperti su temi come il bullismo, l’hate speech e i diritti umani
  • Creare campagne informative per sensibilizzare gli studenti sui danni causati dall’hate speech
  • Stabilire e applicare un chiaro codice di condotta che includa delle conseguenze per chi usa l’hate speech a scuola, ad esempio, adottare delle sanzioni appropriate per chi viola le regole
  • Creare spazi sicuri dove gli studenti possano discutere liberamente delle loro esperienze e preoccupazioni, senza temere di essere offesi
  • Formare gruppi di supporto tra pari, dove gli studenti possono aiutarsi reciprocamente a combattere e prevenire episodi di hate speech. Individuare, poi, degli studenti ambasciatori che promuovano attivamente il rispetto e l’inclusione tra i loro coetanei
  • Formazione continua per il personale scolastico su come riconoscere e intervenire prontamente in caso di hate speech
  • Fornire risorse e supporto psicologico per gestire situazioni di conflitto e promuovere il benessere emotivo degli studenti
  • Organizzare incontri con i genitori per discutere dell’importanza di contrastare l’hate speech e come supportare i figli
  • Monitorare gli episodi di hate speech per capire meglio la situazione e l’efficacia delle misure adottate
  • Chiedere regolarmente feedback a studenti, genitori e personale scolastico per migliorare le strategie di contrasto all’hate speech

Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare gli studenti a comprendere l’importanza del linguaggio e come utilizzarlo. Interessante a riguardo, è la riflessione di Federico Faloppa, docente di linguistica italiana presso il Department of modern language dell’Università Reading (UK). In un’intervista su GiuntiScuola, ha sottolineato che “bisogna lavorare moltissimo nelle scuole sulla capacità di saper leggere un testo” […] “responsabilizzare sull’utilizzo delle parole e spiegarle: alcune, infatti, rischiano di essere utilizzate con leggerezza sebbene abbiano una storia” […] “spesso chi usa i social non si rende conto di quale possa essere la portata dello strumento”.

Commentare online è semplice, per i giovanissimi è un’azione che fa parte della quotidianità. La scuola deve aiutarli a riflettere che, come asseriva Nanni Moretti, “le parole sono importanti”, e che un’offesa ha sempre un forte impatto. Spingere alla riflessione e alla comprensione di ciò che effettivamente le parole possono causare, è la cosa migliore che la scuola possa fare, (ad esempio, con l’ora di intelligenza emotiva in classe).

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Ilenia Valleriani

Ho conseguito con lode la laurea specialistica in Comunicazione d’Impresa, successivamente alla laurea triennale in Scienze della Comunicazione, presso l’Università La Sapienza di Roma.

Insegnante nella scuola superiore di secondo grado, dal 2017 ho iniziato l’attività di content writer, in particolare sui temi del marketing e della comunicazione, per seguire la passione che coltivo sin da bambina: la scrittura.

Da luglio 2021 collaboro con il blog di Education Marketing Italia.

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