L’educazione è la colonna portante di una società, e sia alla famiglia che alla scuola spetta la collaborazione nell’educazione e nell’istruzione del minore. L’obiettivo congiunto viene rimarcato anche dalla normativa italiana, con il Patto di corresponsabilità firmato contestualmente da studenti e genitori, nei quali ci si impegna a rispettare i principi della scuola secondaria di primo grado e a dar vita ad un’interazione con il corpo docenti.
La responsabilità di realizzare un rapporto collaborativo che influisca positivamente sullo sviluppo degli alunni, è sottolineato dal DPR n. 235 del 2 novembre 2007. La necessità di informazione nei confronti delle famiglie è specificata anche nel CCNL scuola: l’articolo 29 specifica che tra le attività dell’insegnante rientrano i rapporti individuali con le famiglie, determinati sulla base delle proposte del collegio docenti, che ne specifica le modalità di svolgimento.
I rapporti genitori-docenti sono cambiati?
Un tempo l’insegnante era considerato una figura autoritaria, che nessuno metteva in discussione, già solo per il fatto di aver raggiunto un determinato livello d’istruzione personale, e quindi valorizzato da una stima sociale. Oggi, spesso, la percezione della scuola è diversa, e la figura del docente viene sminuita.
Da una parte c’è l’insegnante e dall’altra la famiglia, due attori che vengono meno alla corresponsabilità necessaria ai fini educativi dell’allievo. Lo scrittore professor Alessandro D’Avenia ha utilizzato l’espressione metaforica di un “triangolo amoroso”, proprio per identificare le tre parti in causa: docenti, genitori e alunni.
Viviamo in una società poco propensa ad accettare il fallimento, è difficile per i genitori riconoscere i propri (naturali) errori commessi nella delicata età evolutiva dei figli. Troppo spesso si tende ad incolpare la scuola, o comunque a proteggere i figli dalle critiche, forse perché il genitore avverte la critica come una propria responsabilità. Il docente, da parte sua, dovrebbe rappresentare un aiuto per stigmatizzare la paura dell’insuccesso e porsi come un alleato del genitore, nella delicata fase evolutiva dei ragazzi.
“Un mondo adulto che non fa squadra (…) senza rispetto per ruoli e competenze, rischia di disorientare un’intera generazione” spiega Alberto Pellai, medico, ricercatore e psicoterapeuta dell’età evolutiva, in un’intervista sul settimanale Donna Moderna.
Le rispettive paure di insegnanti e genitori
Entrambi i ruoli, quello dell’insegnante e quello del genitore, richiedono un’autoanalisi, per capire eventuali difficoltà e disfunzionalità nei rapporti. Il timore principale è il giudizio dell’altro: gli insegnanti sanno di svolgere un ruolo delicato, che può avere un peso nello sviluppo degli adulti. Riconoscono quanto sia facile sbagliare e può capitare che soffrano nell’avvertire una scarsa fiducia da parte delle famiglie, circa il proprio operato.
Dal canto loro, i genitori spesso temono che esprimere disaccordo con il docente possa ledere il figlio. Hanno paura di essere giudicati circa l’educazione impartita ai propri figli, per questo può capitare che si pongano sulla difensiva. A volte perché equivocano le riflessioni dell’insegnante, a volte perché quest’ultimo non riesce a porsi nel modo più empatico rispetto alla situazione.
Un eventuale conflitto genera dunque stress per entrambi i partecipanti della relazione (F. L. Lake, S. B. Bonnie, Il conflitto scuola-genitori degli alunni in difficoltà, in Difficoltà di apprendimento, 2003, 1, pp.511-530).
Le diverse tipologie di genitori
Nell’analizzare il perché di una relazione disfunzionale, occorre innanzitutto capire la tipologia di genitore che si ha di fronte, secondo i consigli della psicologa Annella Bartolomeo, professoressa presso l’Università Cattolica di Milano, riportati nel libro Le relazioni genitori-insegnanti (La Scuola, Brescia, 2004):
- Famiglia assente, si tratta dei genitori che non partecipano ai colloqui, spesso provengono da situazioni socio-culturali ed economiche disagiate. Vedono la scuola come una sorta di “parcheggio”, non hanno interesse a sapere di più. L’insegnante si trova di fronte ad una situazione di assoluta impotenza, non avendo un reale interlocutore a cui riferirsi.
- Famiglia sfidante, sono i genitori che trovano sempre una motivazione per giustificare il figlio (la verifica era troppo difficile, non stava bene, va motivato diversamente, è timido, ha una reazione di difesa…). In questi casi, la famiglia rappresenta un muro, che è difficile da abbattere per l’insegnante, che non riesce a trovare una strada per la collaborazione. L’insegnante non dovrebbe cadere nell’errore di innervosirsi, ma al contrario, cercare di ammorbidire il genitore esplicando anche le caratteristiche positive del figlio in aula.
- Famiglia rigorista, al contrario della precedente tipologia, tendono ad essere accusatori e severi nei confronti dei figli, per cui è bene fare attenzione alle parole con le quali si comunicano le mancanze degli allievi, in modo da non rendere eccessivamente difficile la situazione a casa. Può capitare che, riconoscendo l’assoluta autorità dei docenti, il genitore deleghi ad essi l’educazione del figlio, minando in tal modo il rapporto di collaborazione, accettando di avere un ruolo di passività
- Famiglia sfogatoio, spesso capita che i genitori, afflitti dai problemi personali, nel colloquio con il docente, parlino delle personali frustrazioni, fino a volte a concludere in lacrime. Le reali motivazioni del colloquio vengono dimenticate non consentendo di individuare strategie utili all’apprendimento dell’alunno
- Famiglia partecipativa, collaborativa e interessata. Vede la scuola come un luogo di crescita, riconoscendo il ruolo autorevole dei docenti come collaboratori, ammettendo limiti e punti di forza per agire nell’interesse dell’alunno.
I modelli comunicativi degli insegnanti
Allo stesso modo è importante capire quali sono i modelli comunicativi (più o meno giusti) che gli insegnanti possono scegliere, sempre riportati nel libro della professoressa psicologa Annella Bartolomeo:
- Comunicazione genitoriale, l’insegnante si pone come un membro della famiglia, attraverso dei colloqui informali. Il rischio di questo tipo di comunicazione è legato al fatto che, un eccesso di affettività possa alimentare da parte della famiglia una dipendenza dall’insegnante, al quale si delega la risoluzione dei problemi dell’alunno, senza intervento attivo da parte dei genitori
- Comunicazione direttiva, l’insegnante sottolinea il proprio ruolo istituzionale attraverso una comunicazione fondata sull’aspetto della valutazione dell’alunno. In questo caso, la comunicazione eccessivamente formale potrebbe infastidire il genitore tanto da spingerlo allo scontro
- Comunicazione competente, l’insegnante cerca di dare vita ad una relazione, il genitore deve essere visto come una risorsa con la quale collaborare, invogliato a partecipare alla questione educativa anche per quanto concerne l’aspetto scolastico, nel rispetto dell’autonomia di entrambi i ruoli nelle proprie sfere, privata e scolastica.
Come rendere il rapporto sereno
Il punto di partenza è sempre l’apertura al dialogo, comprendendo che non si è controparti bensì collaboratori:
- L’insegnante dovrebbe comunicare tempestivamente le difficoltà dello studente, senza attendere necessariamente i colloqui fissati dall’istituto
- Mantenere un comportamento controllato durante il colloquio
- Non scaricare la responsabilità sull’altra parte, ma cercare di capire come coadiuvarsi
- Comunicare in modo chiaro, senza giri di parole che possano rendere difficile la comprensione dei problemi dell’alunno
- Coinvolgere i genitori, informandoli su eventuali progressi, o motivandoli nell’aiutare gli allievi nei compiti a casa, e nelle attività in classe alle quali possono partecipare. Quando i genitori partecipano in modo propositivo i docenti vengono influenzati positivamente e sono portati a migliorarsi a loro volta.
Errori da evitare
Molti insegnanti considerano un problema l’atteggiamento delle famiglie nei loro confronti. È utile, quindi, evitare di commettere dei piccoli errori che possano incrinare la fiducia reciproca. L’educatore non è un nemico, e dobbiamo farlo capire ai genitori. Ecco alcuni tips della prof.ssa Vittoria Cesari Lusso (Università di Neuchatel, Lugano e Ginevra), ex direttrice del Centro pedagogico Didattico per l’insegnamento degli insegnanti presso l’Ambasciata di Berna:
- L’insegnante dovrebbe riferire le informazioni sullo studente in modo equilibrato, non soffermarsi esclusivamente sulle problematiche ma cercando di riportare anche degli aspetti positivi, in un modo che, proverbialmente, potrebbe essere definito “un po’ bastone un po’ carota”
- Cercare di non vivere le critiche come un attacco personale, se espresse con educazione, infatti, vanno accettate per riflettere e promuovere un personale sviluppo professionale, c’è sempre margine di miglioramento per ognuno di noi
- Curare il contesto: luogo, eventuale presenza di estranei che possano ascoltare, disturbi vari come, ad esempio, telefonate. È consigliabile fissare degli appuntamenti affinché il colloquio si svolga nel clima più adatto, evitando di improvvisare nei corridoi o fuori la scuola, quando non si ha il necessario tempo a disposizione
- Non farsi condizionare dalle emozioni altrui, non è bene essere coinvolti nelle dinamiche familiari o nell’eventuale commozione dei genitori
- Non trattare i genitori da avversari ma come alleati
- Non farsi coinvolgere nelle dispute fra genitori separati, che tentano di mettersi in cattiva luce a vicenda
- Evitare di cadere in una spirale comunicativa negativa, in cui si creano delle reazioni a catena. Piuttosto è meglio interrompere cordialmente il colloquio, con la promessa di aggiornarsi
- Non attribuire etichette del tipo “suo figlio è maleducato”, “disattento”, “disturbatore”. Piuttosto specificare in quali circostanze si crea la problematica e suggerire come risolverla.
Se sei un insegnante, può esserti utile leggere Come gestire aule difficili e La comunicazione efficace tra insegnante e alunno.