“Senza rivali non c’è gara, e dunque non c’è vittoria”, scrive Anna Maria Testa, esperta di comunicazione, in un articolo che riflette sul tema della competizione.
La competizione fa parte della vita, in ogni area, ad ogni età. Ma non necessariamente la “rivalità” implica antagonismo. Al contrario, può essere un input per dare il massimo in serenità.
Cosa dice la psicologia sulla competizione
La competizione è la capacità degli esseri umani di affrontare avversari nell’ambito in cui si sta agendo ed implica un coinvolgimento psicologico.
Se il confronto viene vissuto in modo positivo, si generano emozioni quali, ad esempio, gioia, sicurezza, autostima; se viene percepito in modo negativo, le reazioni potranno essere di rabbia, frustrazione, senso di fallimento, pianto, depressione, aggressività (per approfondire la gestione delle emozioni a scuola puoi leggere È l’ora dell’intelligenza emotiva in classe)
Il concetto della rivalità nella psicologia è antico, è facile fare riferimento al pensiero di Sigmund Freud e “Il complesso di Edipo”: teoria secondo la quale, nel bambino, agiscono delle pulsioni di rivalità verso il genitore dello stesso sesso, considerato un rivale nella conquista del genitore di sesso opposto. Lo psicologo sottolinea così la predisposizione naturale dell’essere umano alla competizione, a differenza del “sano” confronto, che invece va insegnato al bambino.
Viviamo nella società della competizione con i social media
Sapersi confrontare con gli altri è la base delle relazioni sociali e lavorative.
La nostra società sembra, spesso, basata sulla ricerca della perfezione, nella quale si vive condizionati dalla vetrina sociale. La “sindrome del primo della classe” pervade ogni tappa della nostra vita, provocando, non di rado, ansia e stress. L’aspetto collaborativo sembra venire meno a favore dell’individualismo e dell’annientamento dell’altro per considerarsi migliori. “Viviamo nell’era dell’invidia” si legge sul quotidiano inglese The Guardian.
Uno studio del National Institute of Mental Health, già nel 2012, ha evidenziato che Facebook influisce sul confronto con gli altri. Sui social, in generale, la vita altrui appare perfetta, curata e invidiabile.
La “teoria della competizione sociale” (elaborata dagli psicologi Tajfel e Turner), specifica che la risposta a questo tipo di rappresentazioni è spesso di una depressione involontaria, dovuta alla percezione che gli altri stiano riuscendo meglio di noi.
Charlotte Blease, medico e psicoterapeuta cognitivista presso la University College di Dublino, ritiene che “passare troppo tempo immersi nelle immagini e negli aggiornamenti di stato ci lasci con l’impressione di essere socialmente superati”. Utilizzando i social network si può avvertire la sensazione di non essere all’altezza degli altri, di non raggiungere lo standard necessario per essere vincenti.
Il boom delle challenge tra la Gen Z
Tra gli adolescenti trovano terreno fertile, ormai da qualche anno, le challenge, sfide online, spesso lanciate dai content creator. Si tratta di sfide che diventano velocemente virali, basate sulla voglia di ottenere maggiore visibilità e di mostrarsi al pari degli altri. Diversi sono stati i casi di sfide online pericolose, che spingono a mostrarsi senza paura.
Con la challenge si innesca una forte pressione psicologica derivante dal processo di identificazione, e dalla voglia di accettazione da parte del gruppo, che, necessariamente, per i nativi digitali, passa anche dai social.
Come creare una sana competizione in classe
Lo spirito competitivo non viene considerato in modo negativo dalla psicologia, purché esso venga canalizzato in modo equilibrato, per evitare che si trasformi in aggressività e tentativo di primeggiare.
Maria Montessori ha definito la mente umana “assorbente”, perché in grado di assorbire ciò che proviene dall’ambiente. Il ruolo dell’insegnante è, dunque, quello di trasformare la classe in un laboratorio collaborativo, dove il confronto possa essere motivo di crescita e non di frustrazione.
La sana competizione può infatti giovare alla crescita dell’alunno, fornendo gli strumenti adatti per affrontare la competizione sul lavoro e nella società contemporanea. Una competizione positiva si crea, oltre che con la meritocrazia, relativa agli obiettivi scolastici raggiunti, con l’attenzione alla comunicazione e alla socialità con l’altro.
I passi da seguire per creare una sana competizione a scuola possono essere così riassunti:
- Cercare di far comprendere agli alunni che ognuno ha i propri tempi e le proprie modalità per raggiungere gli obiettivi, nessuno è migliore dell’altro
- Sottolineare che gli errori non sono fallimenti, ma piccoli passi per migliorarsi
- Stimolare il confronto, utile per capirsi e non per decretare il migliore
- Aiutare a ridurre la paura di sbagliare e invogliare a misurarsi in ogni attività
- Premiare ogni sforzo dell’alunno, anche se non vincente
- Stimolare al dialogo in caso di conflitto
- Scoraggiare eventuali manifestazioni di superiorità in classe
L’argomento della competizione in classe è già stato affrontato nel blog di Education Marketing, con l’intervista alla dott.ssa Martina Losa.
Voti a scuola: sì o no?
Nel dibattito pubblico, la valutazione scolastica, è un tema che catalizza l’attenzione. È in corso una vera battaglia ideologica tra chi si considera un fedele dei voti espressi in numero, e chi li vede come fonte di competizione malsana.
Il voto è un pilastro del sistema educativo ed è difficile immaginare una scuola senza di essi.
Coloro che sono favorevoli alla sostituzione del voto con dei giudizi, sostengono che in questo modo si possa offrire un quadro ricco di sfumature sull’alunno, che non può essere ridotto ad un numero. Aggiungono inoltre, che una votazione negativa possa generare vergogna ed indurre ad una competizione dal risvolto negativo.
All’opposto, coloro che confermano la necessità di una valutazione numerica, lo fanno ritenendo che si tratti di una votazione chiara e risolutiva, che non può dare adito a dubbi nelle famiglie. Risulta essere un modo per abituare gli alunni al giudizio a cui si è sottoposti nel mondo del lavoro, sostenendo che la soluzione non è nell’abolizione della competizione ma nel renderla funzionale alla crescita.
Da qualche anno sono iniziate le sperimentazioni tra diverse scuole superiori. La più nota, che ha dato l’esempio, è il Liceo Morgagni di Roma, dove da sette anni si è abolita la valutazione numerica delle verifiche intermedie, pur permanendo quelle finali dei due quadrimestri. Vincenzo Arte, professore del liceo, ha inserito a riguardo, un video su Youtube, realizzato dagli studenti, in cui si spiega, con parole semplici, in cosa consiste l’esperimento che stanno portando avanti. “Volevamo una scuola dove non ci fosse il ricatto del voto per far studiare i ragazzi”, ha sottolineato il docente, specificando le motivazioni della scuola.