Tutor coordinatore universitario corso di laurea Scienze della Formazione Primaria, docente Laboratorio di tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento, formatore per le competenze digitali e docente elementare: in questi mesi abbiamo conosciuto e scambiato opinioni con Danilo Moine, da sempre interessato ai temi di innovazioni applicati alla formazione scolastica.
Durante una chiacchierata con Danilo, abbiamo fatto con lui il punto sulla storia delle tecnologie in questo ambito, ci siamo confrontati sul ruolo che dovrebbero avere in classe, abbiamo parlato delle nuove metodologie sperimentate, di social media e relazioni umane. Ne sono nati due articoli: il primo, questo, dedicato a social media e tecnologie e il prossimo che sarà un affondo verticale su un tema a noi caro: la flipped classroom.
Stay tuned!
In che modo si inserisce la tecnologia negli ambienti scolastici? In che rapporto si sono evolute in questi anni tecnologia e didattica nelle scuole?
“La storia delle tecnologie è stata mossa da un continuo bisogno di innovare e di colmare una sorta di gap digitale che, in Italia, molti sentivano forte a causa di un avvio più lento rispetto al resto del mondo. Questo impulso ha minato la consapevolezza delle azioni e la riflessione sulla qualità ed efficacia delle azioni intraprese. Proprio il fatto di aver considerato inizialmente il computer come un supporto alla didattica ha spinto molti insegnanti ad avvalersene come un semplice ausilio didattico alla stregua di altri materiali di cui si erano sempre serviti, senza scorgere in esso le potenzialità di cui era portatore sia a livello di costruzione condivisa e collaborata di conoscenza, sia come potente stimolo allo sviluppo di un pensiero creativo e divergente qual è il pensiero computazionale”.
Non appare una contraddizione incentivare l’uso delle tecnologie in un contesto sociale in cui si tende a demonizzare lo strumento come causa dell’aumento dei livelli di depressione, ansia e senso di isolamento?
“Per rispondere mi pare importante mettere in evidenza alcune parole contenute nella domanda che sono la chiave di spiegazione della stessa: “contesto sociale”, “strumento” “strategie”.
Partiamo dal “contesto sociale”: è la vita di tutti i giorni con le sue richieste pressanti e i suoi impegni inderogabili a creare livelli di ansia difficilmente gestibili da parte degli individui che si sentono inadeguati sia in ambito lavorativo, sia negli affetti personali. Le pressioni cui quotidianamente siamo sottoposti lasciano poco spazio e tempo per coltivare relazioni positive; tutto questo ci fa provare un senso di smarrimento e di isolamento che portano al bisogno di sentirsi in contatto con gli altri; ed ecco che arriviamo allo “strumento”. Le tecnologie e i social media sono strumenti nelle mani degli individui che sono stati pensati per sopperire a questo bisogno di contatto, anche se poi sono divenuti “strumento” di business. Gli individui utilizzano questi mezzi per appagare il loro bisogno e la potenza della tecnologia, se fruita in modo passivo e acritico, genera un potere attrattivo che isola dal contesto circostante. Dunque, non è lo strumento a isolare il soggetto, bensì l’immersività dell’utilizzo che porta a non coltivare le relazioni più vicine e autentiche”.
Ci sono strategie o riflessioni al riguardo? Anche posto che la chiave di lettura sia sulla modalità dell’uso che del mezzo se ne fa, bambini e ragazzi sono in grado di riconoscere ed apprezzare queste differenze?
“Sicuramente il lato oscuro della questione sta nella mancanza di consapevolezza dei propri punti deboli; se il soggetto percepisce lo strumento come un medium che lo facilita nella sua ricerca di socialità e gli consente di ampliare i suoi orizzonti di conoscenza non ne verrà fagocitato perché lo utilizzerà a suo vantaggio sapendosi mantenere ancorato al contesto reale.
Quali strategie? Sicuramente bambini e ragazzi, in quanto tali, sono affascinati dalle potenzialità e dalla vivacità che questi mezzi offrono, ma non hanno ancora raggiunto una fase di razionalizzazione tale per cui riescono a mantenere un giusto distacco rispetto al loro utilizzo. Sta a noi, formatori ed educatori, far vedere qual è il modo migliore per utilizzare questi strumenti. Tocca agli insegnanti formarsi e sperimentare loro stessi le infinite opportunità che un uso corretto del mezzo può offrire, per poi farle provare ai ragazzi. Non bisogna demonizzare la tecnologia e cercare di creare un ambiente asettico, nelle nostre aule, per evitare di essere contagiati dal desiderio dei social perché la quotidianità va nella direzione opposta. Occorre invece far vedere i vantaggi e la bellezza di un uso corretto e i pericoli di un utilizzo sbagliato perché così, poco alla volta, guidati e indirizzati i ragazzi arriveranno ad apprezzare i molteplici utilizzi che se ne possono fare senza privarsi della loro individualità”.
D’altronde, come argomenta professor Paolo Ferri (docente di Tecnologia per la didattica presso l’Università di Milano-Bicocca) “il digitale per i nostri figli non è solo un linguaggio, uno strumento, un codice, ma soprattutto un elemento identitario” (Bimbi e digitale, c’è un mondo da capire, Fulvio Bertamini). La domanda sulla possibilità di un rapporto costruttivo fra bambini e mondo digitale esprime l’incertezza da parte del mondo degli adulti di fronte ad una rivoluzione del XX secolo che sta cambiando la testa, le attitudini, le abilità dei giovanissimi per cui però, in realtà, non c’è differenza fra realtà e digitale: è tutta vita, e basta.
Quindi, continua Ferri, “il punto è proprio questo: come insegnamo loro ad attraversare la strada in sicurezza, allo stesso modo dobbiamo spingerli a un uso creativo di questi strumenti”.