Allenare menti e cuori: il potere del coaching per crescere i giovani

Per crescere efficacemente i giovani, serve un'alleanza tra educatori e genitori, basata sul coaching e sul lavoro di squadra.

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Per una crescita efficace dei nostri giovani bisognerebbe mirare ad un’alleanza educativa efficace tra educatori e genitori partendo davvero dai due punti fondamentali: la capacità di essere Coach e di fare squadra.

Le Olimpiadi di Parigi 2024 sono state l’evento dell’estate e nel guardarle ho constatato con meraviglia un importante e costante elemento comune: il potere del coaching.

Ogni atleta e ogni squadra lì presente aveva alla guida un coach o un team pronto a supportare nel bene e nel male la propria esibizione, prestazione o partita da giocare. L’errore era sempre occasione per capire come poter fare meglio e la corretta esecuzione di un esercizio o un set di una partita era motivo di soddisfazione comune per l’obiettivo raggiunto. Il tutto costantemente accompagnato da parole e gesti di incoraggiamento, supporto emotivo e critiche costruttive per migliorare nello step successivo.

Lo sport, in tutte le sue forme, è da sempre un campo educativo per eccellenza. Attraverso l’impegno individuale o di gruppo, si impara a bilanciare ambizione e rispetto per l’avversario, trasformando la competizione in una spinta verso il miglioramento. Che si tratti di una sfida personale o di un gioco di squadra, l’insuccesso insegna a gestire lo stress e diventa uno stimolo per continuare a crescere e raggiungere nuovi traguardi.

Il successo di cui parliamo è quello che ogni atleta sa di poter raggiungere solo con impegno, costanza, dedizione e tanta pazienza. Tutte doti fondamentali da coltivare nei giovani per aiutarli a vivere una vita piena di sani principi e valori. E grazie al supporto di un coach e un team di incoraggiamento tutto diventa fattibile e raggiungibile.

A scuola accade la stessa cosa? Da insegnante, posso dire che mi aspetterei che fosse così.

Gli studenti sono metaforicamente i nostri atleti che andrebbero supportati e incoraggiati, aiutati ad affrontare le difficoltà, imparare dagli errori, fissare obiettivi da raggiungere con impegno e costanza, organizzare il proprio tempo in modo costruttivo ed efficace, imparare a fare squadra con il proprio gruppo classe e vivere l’amico come un compagno al quale battere il cinque quando vince e abbracciare di fronte ad un insuccesso.

Purtroppo, non sempre accade per alcune situazioni comuni che ostacolano l’essere coach del docente a scuola di cui parleremo nei prossimi paragrafi.

 

La “corsa ai programmi” ostacola il coaching?

Quando si parla di Programma è bene precisare subito che il termine è in disuso da diversi decenni, precisamente da quando sono stati aboliti i vecchi Programmi del ’79 per la ex-scuola media, quelli dell’85 per la ex-scuola elementare e del ’91 per la ex-scuola materna.

Hanno lasciato spazio, infatti, alle Indicazioni Nazionali (D.M 254 del 2012) per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (5 anni di scuola primaria e 3 della scuola secondaria di 1°grado). Tali indicazioni per il curricolo didattico propongono un percorso diviso in step: nella scuola primaria, ad esempio, si parla di primo triennio (dalla classe prima alla classe terza) e di biennio finale (quarta e quinta). Fissando due “maxi traguardi”, uno a fine terza e uno a fine quinta, i docenti possono utilizzare tre anni e a seguire due per definire il proprio percorso, scegliendo di sviluppare e approfondire concetti e tematiche con una diversa tempistica, fatto salvo il raggiungimento degli stessi traguardi di competenza a fine terza e a fine quinta.

(vedi anche: Progettazione e programmazione didattica: chiariamo i dubbi)

Fatta questa premessa, dunque, i docenti non percepiscono più la pressione del tempo insufficiente, perché sanno di avere ben cinque anni per far raggiungere ai propri studenti i traguardi di competenza fissati dalle Indicazioni Nazionali.

Ma cosa accade allora? Spesso si verifica che “l’ansia da prestazione” dei docenti porti a voler correre e affrettare il lavoro, cadendo nel tranello mentale e psicologico del “siamo troppo indietro rispetto al collega che ha quasi finito il programma“!

Ma quale programma, se non c’è? Il rischio è che il docente perda di vista il processo di apprendimento per inseguire l’obiettivo sbagliato.
Oltretutto, ragionando in questo modo, si tralascia un aspetto fondamentale, gli studenti: hanno dato un feedback positivo negli apprendimenti? Hanno compreso bene tutti? Hanno tutti interiorizzato nei tempi giusti le abilità correlate a ciascun contenuto? Si è realmente personalizzato l’apprendimento di tutti e di ognuno?

Se i ragazzi iniziano ad accumulare lacune, incertezze, insicurezze operative il coaching diventerebbe inutile poiché inesistente.

A scuola dovrebbe essere la stessa cosa: il docente è il coach che può e deve incoraggiare, supportare negli allenamenti e capire quando e se è il momento giusto per passare al prossimo step.

Incoraggiamento, supporto emotivo, aiuto a gestire lo stress di sbagliare, guida gentile nel comprendere l’errore commesso e sostegno versatile per qualsiasi occasione che si presenta.

Per approfondire il tema del coaching a scuola segnaliamo l’evento EducAbility del 15 novembre 2024 a Bari con Nicoletta Romanazzi, trainer specializzata in sport coaching, top performance e mental coach nelle scuole.

Quando i genitori fanno “invasione di campo”: i rischi

E i genitori? Che ruolo giocano nella partita? Spesso “invadono” un campo che non compete loro. Quando preparano lo zaino di scuola ai figli, quando si sostituiscono a loro nel fare i compiti o quando intervengono con giudizi sulla didattica e le metodologie dei docenti.

Ciò che li spinge a farlo è senza dubbio la voglia di aiutare i propri figli, ma nella maggior parte dei casi probabilmente non si rendono conto che si va a penalizzare la possibilità di farli crescere in termini di autonomia, gestione del proprio tempo, capacità organizzative e life skills in generale.

Inoltre, accade che l’autorevolezza delle professioni venga spesso minata dal “ho letto che” o dal “mi hanno detto di” e nel mondo della scuola questo accade di frequente. Succede quando andiamo dal medico, sapendo di non essere esperti di medicina (quanti potrebbero confrontarsi in merito a molecole, eccipienti o simili?) o anche quando andiamo dal meccanico (chi è realmente competente in merito a pezzi di ricambio, montaggio e funzionamento?).

Analogamente, può accadere che i genitori, formulando valutazioni sommarie e prive di una solida competenza pedagogica, mettano in discussione l’operato dei docenti in aula.

Indicazioni Nazionali, rubriche valutative, traguardi di competenza, moduli formativi, strategie di insegnamento, metodologie didattiche sono solo alcune delle conoscenze e competenze che serve padroneggiare. Quanti di questi genitori si potrebbero ritenere preparati ad affrontare questi argomenti?

Questo atteggiamento di “invasione” scatta per eccesso di protezione nei confronti dei propri figli ma è un comportamento che rischia di compromettere la percezione dell’autorevolezza dell’insegnante agli occhi degli studenti, minando l’equilibrio del rapporto educativo.

Laddove si interviene criticando il lavoro di un docente, non si fa altro che screditare una figura educante che ha un ruolo determinante nella crescita e nell’educazione di ciascun bambino. Quando questo accade si va a “distruggere un mito” e si crea confusione emotiva, come spesso ribadisce lo psichiatra Paolo Crepet (si veda ad esempio l’articolo “I genitori e la scuola, l’attacco di Paolo Crepet”) quando affronta il tema del rapporto genitori-figli-insegnanti.

Approfondimenti: Genitori contro insegnanti e L’insegnante sta perdendo la sua autorità.

Come in qualsiasi situazione difficile, la soluzione va trovata con spirito critico e costruttivo. In tal senso possono essere d’aiuto alcune riflessioni del grande coach Julio Velasco.

 

Le parole di Julio Velasco: educare alla frustrazione

Anche nel mondo dello sport negli ultimi anni si è assistito ad una “invasione di campo” eccessiva da parte dei genitori. Il famoso allenatore di pallavolo Julio Velasco ha parlato in una sua intervista della difficoltà di allenare i giovani di oggi proprio a causa delle ingerenze dei genitori. In una riunione tecnica tra allenatori, infatti, Velasco si è soffermato su una domanda di un tecnico che lamentava le difficoltà di allenare i giovani di oggi rispetto a quelli di una volta e risponde dando una vera e propria lezione di vita:

“I giovani di oggi non sono diversi da quelli di prima, ma sono i genitori diversi dalle precedenti generazioni. Molti di questi inculcano idee sbagliate ai loro figli. Immaginate un ragazzo che ha un problema a scuola, e i genitori gli dicono che il problema non è lui, ma gli insegnanti. Come fai ad ottenere un feedback da questo ragazzo? Lui ha sempre ragione! Ora, quando diventerà adulto ed uscirà da casa sua, cosa succederà? Si troverà un mondo nuovo, dove tra mille difficoltà e tra mille insidie non potrà uscirne fuori. Penserà ai genitori che gli davano sempre ragione, genitori che hanno mentito, per amore, ma hanno mentito. NON SEI SEMPRE IL MIGLIORE! Nelle squadre sportive troviamo spesso questo problema, in molti ragazzi. L’aspetto più diffuso oggi è l’insicurezza in se stessi proprio per questo atteggiamento dei genitori. Il non avere anticorpi alla frustrazione, perché io non ho sbagliato, io non ho commesso errori e dare la colpa agli altri è diventato ricorrente. Tutto questo nel giovane crea insicurezza e paura di sbagliare. Che personalità avranno in futuro?”

Le parole di Velasco descrivono perfettamente la situazione che spesso constatiamo a scuola.
I genitori non aiutano ad educare all’errore, alla frustrazione e al fallimento. Cercano un alibi all’insuccesso del figlio che spesso diventa “l’incompetenza del docente” o il “contesto classe” o la “distrazione causata da un compagno”, o altri alibi.

Ciò che andrebbe fatto, invece, è analizzare le cause dell’errore e quello che il proprio figlio avrebbe potuto fare. È solo cadendo che si impara a rialzarsi e solo rialzandosi si trova la forza per ritentare.

Fare squadra per un’educazione efficace dei ragazzi

Partendo dalle parole del famoso coach-divulgatore di pallavolo approfondiamo l’argomento con il luminare dello sport giovanile Maurizio Mondoni che in un recente articolo (Da Velasco a Mondoni, genitori & figli: un equilibrio affascinante e decisivo) parla del rapporto cardine genitori & figli.

“L’attività sportiva è una straordinaria esperienza educativa, è emozionante, divertente e come tale coinvolge facilmente i bambini, i ragazzi e i giovani. Ha una funziona ludica, sociale, insegna il rispetto di sé e degli altri, delle regole, il valore dell’impegno, la convivenza civile, la cooperazione, l’accettazione della sconfitta; accresce la fiducia in se stessi aumentando l’autostima; permette di scaricare le ansie, le frustrazioni e l’aggressività; favorisce l’incontro e facilita l’integrazione”.

Attorno ai bambini, ai ragazzi e ai giovani che giocano ruotano numerose figure: il Dirigente, l’Istruttore e l’Allenatore, il Presidente, i Genitori e i Familiari. Il buon andamento di una Società Sportiva ben strutturata e organizzata dipende dall’equilibrio tra i diversi ruoli, dove ciascuno deve “giocare” la sua parte senza invadere e interferire in quella degli altri. È pertanto importante comprendere quale ruolo gioca ogni figura e quali sono le sue responsabilità. A tale scopo è bene fare il possibile affinché si stabilisca un’alleanza educativa tra le diverse figure.

La stessa cosa dovrebbe avvenire nella scuola. Anche qui ci sono diverse figure, ciascuna con un ruolo ben definito: Dirigente, docenti, genitori, amministrativi e collaboratori scolastici.

Con i genitori deve essere cercata un’alleanza, perché una collaborazione intelligente può aiutare a risolvere molti problemi, da quelli educativi dei bambini e dei ragazzi, alle molteplici incombenze organizzative, sia nel mondo sportivo che in quello scolastico.

Prendiamo spunto dallo sport! Solo così sarà possibile raggiungere importanti traguardi e nelle scuole avremo realmente future generazioni capaci di gestire ansie e difficoltà.

“Ho conosciuto centinaia di atleti. Alcuni vincenti, altri perdenti. La differenza? I vincenti trovano la soluzione. I perdenti cercano alibi.” – Julio Velasco

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Valentina Bellini

Mi sono laureata in Scienze della formazione Primaria con la prima tesi nel 2003 sulla didattica della lingua italiana e la seconda tesi nel 2007 sulla Media Education.

Ho frequentato corsi di formazione sulla didattica della lingua inglese e approfondito percorsi inerenti lo sviluppo delle abilità di leadership personale e professionale.

Mi muove la volontà di raggiungere competenze valide per un efficace lavoro di squadra e al passo con i tempi educativi, incentrati soprattutto sulle tanto nominate soft skills e life skills.

Lavoro con orgoglio e soddisfazione da vent’anni in un Istituto Comprensivo della Puglia e continuo a dedicare tempo alla formazione dei docenti per la valorizzazione delle best practices nella scuola.

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